Questa ricerca storica sull’antica cucina caprese nasce una mattina di gennaio alla Conchiglia. L’intento era quello di raccogliere informazioni sulla Pizza Monacone, ma come spesso capita la ricerca ha compiuto dei giri meravigliosi che l’hanno portata in tutt’altra direzione.
Quella mattina ho infatti avuto la fortuna di incontrare in libreria Riccardo Esposito, titolare della casa editrice che, fonte inesauribile di aneddoti, ha stuzzicato la mia “fame di conoscenza” con racconti al profumo di Minestra Maritata e di altre ricette capresi.
Uscita dalla libreria mi sono spinta fino al Centro Documentale dove ho trovato ad accogliermi Giuseppe Aprea. Dalle chiacchierate di quella mattina ho appreso molto più che dai libri. Ho capito che la cultura tramandata a voce è davvero fondamentale per quanto riguarda la cucina caprese e che desideravo conoscerla e raccontarla.
L’aria si è riempita di discorsi al profumo di Chiummenzana (l’originale è con l’origano o senza? Molto accoratamente dibattuta è la questione) e di cipolle dolci, cotte a lungo, che avvolgono un piatto di Pasta alla Poverella. Ne avete mai sentito parlare? La prima consiste in un sugo di pomodorini freschi, dischiusi meravigliosamente in un soffritto di aglio e olio a rilasciare tutto il loro sapore. La seconda invece era a base di cipolle rosse e uova all’occhio di bue. Si tratta in entrambi i casi di piatti casalinghi, “poverelli” per davvero, ma dalla cottura attenta e dal sapore di una carezza.
Quali sono quindi i piatti originali della cucina caprese? Inizio a credere non esista una risposta. Due cose sono certe: si trattava di una cucina povera, una vera e propria arte dell’arrangiarsi, e al contempo di una cucina composita che sin dall’alba dei tempi ha visto le tradizioni gastronomiche del mondo intero innestarsi sulle tipicità isolane. Dalla cucina greca a quella romana, dalla dominazione inglese a quella francese: il caprese ha sempre cercato di incontrare e sposare il gusto dei suoi avventori, con uno spirito di accoglienza millenario.
Così sono nati, nel corso del ‘900, i due piatti che portano l’aggettivo “Caprese” che sono oggi famosi in tutto il mondo: la Torta Caprese (di origini russe o austroungariche che a Capri è sempre stata chiamata “Torta di mandorle”) e l’Insalata Caprese, un piatto di pomodoro e mozzarella, tagliati a fette spesse e conditi con abbondante olio d’oliva e basilico fresco, appena raccolto e profumato d’estate.
Ma al di là di questi piatti “novecenteschi” di fama internazionale, cosa si mangiava sull’isola di Capri, nelle case della gente comune? Quali erano gli ingredienti a disposizione di tutti? Per scoprirlo mi sono affidata alla memoria e ai racconti della signora Luisa, tiberiana della Savardina. Il papà della signora Luisa faceva il fornaio, la mamma invece allevava mucche, maiali, galline e conigli per conto di altri: era la classica donna caprese di una volta, quella che teneva le redini della stalla e della casa, in un regime matriarcale.
Sull’isola di Capri si allevavano le mucche, mi racconta Luisa, per il latte che producevano.
E dal latte crudo, sua nonna prima e sua madre poi, ricavavano un formaggio che, pur essendo vaccino e campano non era la mozzarella. Il suo nome è caciotta e, nonostante la scarsa fama, è alla base di alcuni dei più importanti piatti della nostra cucina caprese: i ravioli capresi, ad esempio.
La mucca quindi, non era allevata per il macello. Qui le versioni di Peppino e Luisa si discostano appena. A casa della signora Luisa la mucca si macellava quando era troppo vecchia per dare latte. Secondo Peppino invece, non si ammazzava mai ma si lasciava campare finché non cadeva a terra per morte naturale e un araldo, passando per i campi, ne dava l’annuncio. I macelli dell’isola erano ad Anacapri, appartenenti alla famiglia Pollio, che ancora oggi è attiva nel settore.
Era il maiale invece l’animale allevato per la carne. E per le ossa e il sangue, le zampe e la lingua. Come si sa, del maiale non si butta via nulla, soprattutto in una società attenta alle risorse alimentari com’era quella caprese. Chi allevava il maiale difficilmente ne mangiava, racconta la signora Luisa. Da bambina, prima di andare a scuola, si fermava tutti i giorni dal Ristorante Aurora e presso altre locande per ritirare il cibo avanzato. Lo lasciava al suo papà al forno che lo avrebbe portato a casa dopo il lavoro: serviva per nutrire gli animali. Così quando il maiale veniva ucciso bisognava ricambiare il favore: e dai un pezzo a uno, un pezzo a un altro, alla famiglia che lo aveva allevato non restavano che gli scarti. Così nasce la famosa minestra maritata di cui vi ho narrato qui (link).
La stessa cosa capitava per i conigli e le galline. Queste ultime si allevavano per le uova che facevano parte dell’alimentazione quotidiana dell’isola, come testimonia la pasta alla poverella. Solo quando erano ormai vecchie si ammazzavano e, come la saggezza popolare insegna, se ne ricavava un corroborante brodo. I conigli erano allevati per la vendita, solo qualcuno rimaneva per la famiglia: il coniglio alla caprese, racconta Luisa, è in bianco, o al massimo sporcato di pomodorino. Ha il sapore delle erbe aromatiche della macchia mediterranea, alloro, rosmarino, maggiorana e dev’essere bello piccante. I profumi delle pietanze di Capri erano legati alla meravigliosa terra in cui nascevano.
Una parentesi diversa va aperta per la quaglia. Ho sentito dire spesso che Capri era un’isola di terra e non di mare e questo, che della sua terra si è nutrita, non c’è dubbio… ma della sua cacciagione? Numerose erano le quaglie che passavano da Capri durante le loro migrazioni: esse erano cacciate nella zona detta “delle parate”, per via delle reti predisposte alla loro caccia. La zona che oggi chiamiamo “i due golfi”, affacciata su Napoli e Salerno. Il bottino della stagione di caccia però raramente era consumato dai cacciatori: esso era venduto principalmente a ricchi napoletani o ai ristoratori capresi che, “tolte” di selvatico con sapienti marinature le avrebbero servite ai loro ospiti.
Con la speranza di avervi fatto venire l’acquolina in bocca e di avervi incuriosito circa gli altri elementi dell’antica cucina caprese, vi saluto, ringrazio Luisa, Peppino e Riccardo e torno a scrivere!
Articolo a cura di Mariapia Ricci
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